Mi hanno costretto a pensarci. E’ questo il bello di alcuni incontri: ci ho riflettuto mentre tornavo da Seregno verso Sesto San Giovanni. Il caldo afoso del pomeriggio rendeva l’aria quasi irrespirabile: sulla superstrada sembrava di aver puntato un phon contro. La moto correva e io boccheggiavo sotto il casco. E riflettevo. Riflettevo sul fatto che l’essere stato a parlare a dei preadolescenti e ai loro animatori, il fatto di aver preparato quell’incontro, mi aveva costretto a questo punto della mia vita sia a riguardarmi un po’ indietro, sia a cercare di andare più in profondità nel mio mestiere. Calarmi dentro esso, dimenticando per un momento la routine, la tecnica, l’esercizio dello scrivente. E pensare ai perché, ai come, ai chi.
Sono stato all’oratorio della parrocchia Ceredo di Seregno. Giovanna mi ha chiamato e mi ha lanciato la proposta: io l’ho raccolta volentieri con entusiasmo. Un po’ per stima e amicizia, un po’ perché, non lo nego, parlare di quello che faccio mi fa sempre molto piacere.
Davanti a me avevo una sessantina di ragazzi delle scuole medie che, chiusi i libri e già dimenticati i profumi dei banchi di scuola, si sono tuffati a pieno nell’estate e frequentano l’oratorio feriale. Insieme a loro, una quindicina di animatori, giovanissimi adolescenti che regalano il loro tempo libero e lo mettono al servizio degli altri, in questo caso dei più piccoli.
Ho parlato di me. La richiesta era stata la seguente: “Parla del tuo mestiere, di come si fa: dai qualche consiglio”. E così ho fatto. Dicevo che sono stato “costretto” (dalla mia stessa volontà) a prepararmi. A “buttar giù” una dozzina di slide, a disegnare mentalmente un menabò che tenesse insieme il mio percorso ma anche le linee guida fondamentali di questo mestiere.
Così ho parlato di scuola, di giornali, di giornalisti, di contenitori e contenuti. Ho parlato di tv e radio, di pezzi e stili, di quotidiani e settimanali. Ma ho anche parlato di rischi. Dei rischi del mestiere: non in senso concreto, più che altro in senso figurato. Non rischio di beccarmi una pallottola come chi fa l’inviato di guerra. Rischio però di fare male quello che sto facendo, nonostante lo stia facendo con passione.
Occhio quindi al rischio, che è sempre dietro l’angolo, della faziosità. Ancor più a quello che indico col nome di “pigrizia” o “routine”: bisogna sempre verificare la notizia, battere i marciapiedi, consumare le suole. Attenzione a rimanere aderenti ai fatti: il cronista racconta non commenta. E poi bisogna sempre ricordarsi che dietro a qualsiasi storia c’è una persona o più persone. Ecco. Lo riscrivo anche qui. In modo che resti un appunto anche per me stesso, per la mia memoria. Una specie di post-it che mi si staglia dinanzi ogni giorno: “Ricordati Andrea, dietro alle storie che racconti ci sono delle persone”. Persone, con i loro pregi e difetti. Persone come me, con tutte le mie luci e le mie ombre. Magari persone in difficoltà, persone che attraversano un periodo difficile. Credo sia una delle sfide più ardue che il mestiere mi presenta dinanzi. L’ho detto ai ragazzi: “Ricordatevi”. Lo dico a me stesso: dovrei ridirmelo ogni santo giorno, ogni benedetto minuto.
Ps: grazie mille a Giovanna. E grazie mille a tutti i ragazzi che hanno ascoltato, hanno fatto domande e hanno “scritto”.
Attenti al rischio che si chiama pigrizia e routine: bravo Andrea ad averlo ricordato! Dovremmo tenercelo sempre a mente anche se non sempre è facile superarle