Apertura lepenista. L’ho sentito ieri in tv: coppia di vocaboli uscita dalla bocca di un giovane giornalista dell’Huffington Post, in diretta su TgCom24. Non si tratta di una parolaccia, premetto. Ho cercato di informarmi un po’: il bel giovanotto in studio, con la faccia da giornalista d’assalto e da prima penna della politica, non voleva mancare di rispetto a nessuno. Si stava parlando di politica e ha voluto usare questa forma roboante che mi ha molto incuriosito: immaginavo si trattasse di un vocabolo derivato dal nome di Marine Le Pen, o di suo padre, e quindi legato alla visione politica della coppia della destra francese. Curiosando on line ho trovato che “lepenista” è un neologismo, vero e proprio, tanto che viene usato da parecchi colleghi. Sarà pure che era la prima volta che lo sentivo, e lo leggevo, ma questa formula mi ha lasciato di stucco. Non tanto per il suo contenuto, quanto per il suo utilizzo.
Prima reazione: “Cosa ha detto?”. Seconda reazione: “Che cosa vuol dire?”. Vi tralascio le parolacce. Ora, se l’ho pensato io, che mi ritengo mediamente informato (dato il lavoro che faccio) e che in un certo senso credo di aver ancora un certo fascino per la politica, chissà cosa ha pensato la “sciura Maria” che era in tv a guardare la trasmissione in diretta. Ammesso e non concesso che una “sciura Maria” qualsiasi guardi il canale news di casa Mediaset.
Tutto questo preambolo per dire una cosa molto semplice: credo che se il giornalismo sia in crisi, sia anche o forse soprattutto colpa dei giornalisti. Me compreso. Mi si venga pure a dire di aver scoperto l’acqua calda…ma voglio comunque continuare con la mia riflessione.
La roboante espressione dell’informato e preparato collega dell’Huffington Post mi è servita da spunto per cercare di spiegare la crisi del giornalismo e dei giornali. Si cercano colpi a effetto e si dimenticano le cose semplici. Ci sono giornalisti, e ogni tanto anche il sottoscritto cade in questa trappola, che badano più al giudizio dei colleghi che non a quello dei lettori: cioè giornalisti che scrivono per loro stessi, per piacersi, per far risuonare frasi o espressioni a effetto come sopra, dimenticandosi di usare i termini che possono essere compresi da tutti. Non voglio qui affatto sminuire il ruolo educativo ed educante che il giornalismo deve avere, a cui non deve abdicare. Ma tornare alle cose semplici, tornare coi piedi per terra, farebbe bene un po’ a tutti.
Ci sono pagine di giornale che sono dure e aspre anche per gli addetti ai lavori. Piene di tecnicismi, di frasi raffinate, di espressioni letterarie che andrebbero meglio in una poesia che non sulla carta grigiastra dei giornali. Il web in questo ha di certo meno colpe, anche se in realtà, se di colpe dobbiamo parlare, allora dobbiamo cercarle nei contenuti e in chi li fa e non nei contenitori.
Spero di essere stato chiaro. Settimana scorsa ho avuto un piacevole incontro con una delle penne più importanti del giornalismo sportivo contemporaneo. Non so cosa mi aspettassi esattamente da tale incontro, ma sono uscito da quel colloquio amichevole di circa un’ora con un’idea e con questa riflessione: il giornalismo non è arrampicarsi sugli specchi. Il giornalismo si fa con le cose semplici, terra terra, con i fatti e le parole di tutti i giorni. Una bella lezione da questo collega: io a inventarmi effetti speciali, a cercare colpi di genio. E lui, tranquillo, serafico, a ricordarmi che i giornali li leggono le persone, non solo i giornalisti: e quindi vanno riempiti di cose semplici. Leggibili, o guardabili o ascoltabili. Fate vobis, applicate la regola ai contenitori che più vi piacciono, che sia la tv o la radio, piuttosto che un settimanale, un quotidiano o un blog.
Il giornalismo locale, in un certo senso, è una sorta di ritorno a questo realismo. Funziona e piace perché si fa leggere. Ecco. Sui giornali locali, spesso ritenuti di Serie B, se non C o addirittura “giornalismo da dilettanti”, si leggono cose semplici, di tutti i giorni. Notizie, informazioni. Poche parole roboanti, nessuna “svolta lepenista”. Marciapiedi distrutti, cacche di cani per terra, politici corrotti, bilanci comunali a rotoli, rapine e omicidi. Cosa succede sotto casa o due passi oltre il proprio confine comunale. Cosa pensa il mio nemico politico e quanti gol ha segnato il bomber della squadra avversaria.
Sbaglio? Forse. D’altronde qualcuno qui a fianco a me, a due metri dalla mi scrivania, ascoltando la tv e sentendo l’ennesimo illustre collega invitato a parlare al piccolo schermo, ha sentenziato: “Sono tutti giornalisti, solo noi facciamo i fruttivendoli”. Ecco.
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