Missione Giornalista

Il contrario della guerra non è la pace, è la creazione (Rent, il musical)

Tipi da fiera: cinque colleghi tra padiglioni e stand

Siamo alla vigilia di una nuova fiera del turismo in quel di Rimini. Giovedì (12 ottobre 2016) si apre l’edizione 2016 di TTG Incontri, forse la più importante fiera dedicata agli addetti ai lavoratori di tutto lo Stivale. Nei padiglioni di Rimini Fiera si riverseranno e incontreranno migliaia di persone, provenienti da tutta Italia e da tutto il mondo, per parlare di viaggi, pacchetti, collegamenti aerei. E per firmare accordi, chiudere partnership, presentare le proprie novità al “pubblico” di operatori. Ci sarò anche io, per il sesto (o settimo, non ricordo) anno consecutivo: “in missione”, come sempre, per TTG Italia, il magazine dell’azienda che organizza l’esposizione e che da anni si occupa di servizi per il settore turistico.

ttg incontri 2014

Ma non sarò solo: insieme a me ci saranno decine, anzi centinaia di colleghi. Giornalisti, blogger, pseudo giornalisti o presunti tali, e pseudo blogger o presunti tali. Conferenze stampa, presentazioni, interviste, aperitivi, pranzi, cene, cocktail ed eventi post cena. Devo prepararmi, devo iniziare a entrare nel mood giusto, perché la parte più difficile di ogni fiera, come sempre, non è il lavoro in sé, ma è l’incontro con i colleghi.

Ecco, così per ridere (anche se di sicuro qualcuno si incazzerà, ma, in francese, me ne sbatto), un elenco di cinque tipi da fiera. Cinque “giornalisti da fiera” che quasi certamente incontrerò tra i padiglioni della Riviera romagnola.

1 – Il Preciso. Se è uomo ha la cravatta. E la camicia è stirata anche alle 18.30, al sesto drink. A me, per la cronaca, si stropiccia a colazione, in hotel. Se è donna alle 18.30 ancora galoppa tra gli stand sui tacchi come se niente fosse, col sorriso stampato in faccia. I precisi arrivano sempre tre minuti prima dell’inizio della conferenza o dell’intervista. I precisi non raccolgono a piene mani dai buffet allestiti “per la stampa”, ma sorseggiano un analcolico con fare distaccato, guardando con disprezzo quelli che si arrampicano sui tavoli a caccia di una nocciolina o di una chiavetta usb. I precisi non hanno decine di fogli e penne tra le mani, ma un’agendina rigorosamente chiusa con l’elastico tirato a perfezione e la penna infilata tra la copertina e la prima pagina. Che non cade. I precisi si ricordano perfettamente i nomi di tutti gli addetti stampa e pr presenti, ma conoscono anche il curriculum della persona da intervistare. Arrivano preparati, loro. Killer.

2 – Il presenzialista. Ha, ovviamente, il dono dell’ubiquità. C’è sempre. E non arranca mai. “Come ti giri ti giri”, lo trovi. Lui, o lei, c’è. Conferenza stampa, c’è. Cena, c’è. Ha un ritmo da centometrista applicato alle lunghe distanze, uno sprinter-maratoneta. Scopro sempre, a posteriori, che mentre era a seguire la conferenza dell’ente pinco pallino, seduto sulla sedia fianco alla mia, contemporaneamente era anche al cocktail della compagnia aerea e all’intervista del Ministro del Turismo di vattelapesca. I presenzialisti fanno lo stesso a Milano: riescono a essere a una presentazione in Buenos Aires e pochi minuti dopo a un evento sui Navigli. Figuratevi cosa possono fare in fiera, dove tutto è a “portata di mano”. Sono ovunque ma non fanno domande: ve lo giuro, non ho mai sentito la loro voce, non so nemmeno per quale testata scrivano. E la cosa più bella è che hanno una cartucciera di bigliettini da visita che non conosce fine: sparano “business card” a destra e manca, sperando nell’estrazione della vita o nell’invito dell’anno. Credo abbiano anche diverse versioni di bigliettini, in modo da fare un baffo alla sorte e anche alla statistica. Una certezza.

3 – L’affamato. E’ il mio preferito. Avevo già dedicato un post alla categoria, ma si deve ammettere, e in molti devono convenire con me, che la fiera è il loro territorio di caccia preferito. Una specie di riserva naturale dove le prede non mancano mai. Mai. Hanno un po’ del “presenzialista”, nel senso che si muovono a una velocità disumana. Sulla loro agenda non ci sono evidenziate le interviste ma i banchetti, i cocktail e le cene. Non so se la settimana prima dell’inizio della fiera facciano digiuno, ma si nutrono con una voracità mai vista. Agguantano tortine e salatini con una naturalezza che è propria del predatore nel suo habitat, sorpassano le code e sarebbero capaci di rinnegare amicizie o rapporti di sangue pur di arrivare prima sul piatto. Per una pizzetta straccerebbero un contratto. Che spettacolo.

4 – Il travel bogger. Permettetemi due parole sulla categoria. Mi pare giusto tributare dello spazio a questa figura nata pochi anni or sono e sempre più presente a questa occasione. Per carità, ci sono travel blogger e travel blogger, come ci sono giornalisti e giornalisti. Ma loro tendenzialmente si distinguono da subito: pantalone con risvoltino, occhiale da sole anche col temporale, tablet nella mano destra, smartphone nella sinistra. “Sparaflashano” scatti e selfie anche ai muri. Taggano, postano, fanno storytelling. Giovani, anzi per lo più giovanissimi, guardano i colleghi col tesserino con fare schifato, con un mezzo ghigno sulle labbra: “Siete una specie in estinzione”, recitano la loro macumba quotidiana. Sono i veri “divi” delle nuove fiere, moderni e moderne Chiara Ferragni, cercati e ricercati da tutti, perché non c’è agenzia che non pagherebbe per uno dei suoi tweet. Si muovono per lo più in branco come bimbi all’asilo, cartellino al collo, armi digitali alla mano. Non fanno domande, nemmeno loro, ma cercano viaggi e gadget. Adoro.

5 – L’antico. E’, per definizione, all’antica. L’uomo ha la cravatta e la giacca lunga, ma soprattutto il borsello a tracolla. La donna invece il capello cotonato, l’orecchino luccicante e tailleur. Hanno sempre la macchina fotografica a tracolla, quella “vintage”, che se passa un travel blogger gli fa una foto. L’antico sorride sempre, anche alla conferenza in inglese, che lui (o lei) non sa affatto. Chiacchiera con tutti e a tavola ricorda i “bei tempi che furono”, quando in questo mestiere “non si faceva un cazzo ma si guadagnava molto”. Quando non c’erano tutti questi giovanotti maleducati e quando i tour operator invitavano anche i mariti, per una settimana, o le compagnie aeree offrivano “passaggi stampa” (giuro che non ho mai capito cosa cazzo voglia dire ‘sta parola) per arrivare dall’altra parte del mondo senza spendere un ghello. Alle 18.30, quando il preciso è fresco come una rosa, sbadiglia. Teneri, ma non troppo.

PS: Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.

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